Formazione obbligatoria: diritti, regole e responsabilità
- CP Studio
- 7 giorni fa
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Nel mondo del lavoro, l'aggiornamento professionale è sempre più importante.
Le aziende chiedono ai dipendenti di migliorare continuamente le proprie competenze, e in alcuni casi la formazione non è solo un'opzione, ma un vero e proprio obbligo previsto dalla legge.
Ma cosa succede quando i corsi vengono organizzati fuori dall’orario di lavoro?
È legittimo chiedere ai lavoratori di partecipare nel loro tempo libero?
La questione è rilevante, perché coinvolge sia i diritti dei dipendenti che le necessità organizzative delle aziende.
Formazione e orario di lavoro: quando è retribuita?
La normativa italiana stabilisce regole precise in materia.
Il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (D.lgs. n.81/2008) prevede che i corsi dedicati alla prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro si svolgano durante l’orario di lavoro e siano gratuiti per il dipendente.
In questi casi, il tempo trascorso in aula è considerato parte integrante della prestazione lavorativa e, quindi, retribuito.
Il Decreto Trasparenza (D.lgs. n.104/2022) ha ampliato il concetto di formazione obbligatoria, includendo tutti i percorsi richiesti dalla legge o dai contratti collettivi.
Anche in questo caso, la formazione deve essere gratuita e, dove possibile, organizzata durante il turno di lavoro.
Tuttavia, esistono eccezioni che rendono inevitabile la programmazione di corsi fuori orario.
Alcuni esempi?
La disponibilità limitata dei formatori,
la necessità di non interrompere il servizio al pubblico o
la gestione di più turni da coordinare.
Ma la formazione fuori orario è legale?
Sì, lo è!
La Corte di Cassazione ha chiarito che il concetto di "orario di lavoro" non si limita alle fasce ordinarie, ma comprende qualsiasi momento in cui il datore di lavoro può chiedere al dipendente di svolgere un’attività lavorativa.
Questo principio si applica anche alla formazione, che quindi viene considerata attività lavorativa retribuita, indipendentemente dal momento in cui si svolge.
Se il corso fa superare le ore previste dal contratto (ad esempio, 40 ore settimanali), le ore in eccesso devono essere retribuite come straordinario, con le maggiorazioni stabilite dal contratto collettivo.
È possibile rifiutarsi di partecipare alla formazione fuori orario?
Dipende.
Se la formazione è obbligatoria per legge, per contratto o per sicurezza, il lavoratore non può rifiutarsi senza una giustificazione valida.
Tuttavia, il datore di lavoro deve garantire retribuzione, gratuità e rispetto dei diritti del dipendente.
Se queste condizioni non vengono rispettate, il lavoratore ha il diritto di far valere le proprie ragioni.
Chi paga la formazione obbligatoria?
Mai il dipendente.
Per legge, ogni costo deve essere sostenuto dall’azienda: dal corso ai materiali didattici, fino alle eventuali spese di trasporto o trasferte necessarie per partecipare alla formazione.
Cosa rischia un’azienda che non investe nella formazione?
Ignorare la formazione dei dipendenti può avere conseguenze serie.
Se un lavoratore subisce un infortunio e l’azienda non ha fornito un’adeguata preparazione, la responsabilità ricade sul datore di lavoro.
La Cassazione ha stabilito che il mancato adempimento dell’obbligo formativo può essere considerato una causa diretta del danno, con il rischio di conseguenze penali, come una condanna per lesioni colpose.
In sintesi, la formazione obbligatoria è un diritto del lavoratore e un dovere dell’azienda.
Se svolta fuori orario, deve essere sempre retribuita, gratuita e garantire le tutele previste dalla legge.
Per le imprese, investire nella formazione significa non solo rispettare la normativa, ma anche migliorare la sicurezza e la qualità del lavoro.

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