Trasferta o trasfertismo? Diverse tutele e diverse regole
- CP Studio

- 16 ott
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Nel mondo del lavoro, i termini “trasferta” e “trasfertismo” vengono spesso utilizzati come sinonimi, ma in realtà designano situazioni profondamente diverse, sia sotto il profilo operativo che, e soprattutto, sotto quello fiscale e contributivo.
L’ordinanza della Corte di Cassazione n.24148 del 28 agosto 2025 offre una preziosa occasione per chiarire la distinzione e le conseguenze pratiche per aziende e lavoratori.
La trasferta rappresenta lo spostamento temporaneo del lavoratore dalla sede di lavoro abituale per esigenze aziendali: qui l’indennità viene riconosciuta solo in occasione delle trasferte effettivamente svolte, ed è variabile a seconda della durata e della distanza.
Il trasfertismo, invece, riguarda quei lavoratori che, per contratto, sono chiamati a operare in luoghi sempre diversi, senza una sede fissa.
In quest’ultimo caso, l’indennità riconosciuta è fissa e viene corrisposta anche in assenza di una trasferta specifica, come avviene per i montatori di macchinari che lavorano costantemente fuori sede.
Alcune mansioni esemplificative che possono essere ricondotte al trasfertismo sono l’assistenza tecnica presso clienti o filiali, l'installazione e la manutenzione di macchinari, la preparazione di report tecnici, la partecipazione a fiere ed eventi di settore e la gestione della logistica legata al trasporto di attrezzature.
Proprio su questo punto si è pronunciata la Cassazione, confermando che il regime contributivo applicabile ai lavoratori trasfertisti è quello previsto dall’art.51, comma 6, del TUIR.
In pratica, le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti per contratto a chi lavora in luoghi sempre variabili concorrono a formare il reddito nella misura del 50%.
Diversamente, per le normali trasferte, l’imponibile contributivo si calcola solo sulla quota eccedente i limiti di legge, che sono pari a 46,48 euro giornalieri in Italia.
Questo significa che le indennità percepite per trasferte fuori dal territorio comunale concorrono a formare il reddito solo per la parte che supera tale importo giornaliero, al netto delle spese di viaggio e trasporto.
È importante sottolineare che, per le trasferte tradizionali, esiste quindi un limite giornaliero di 46,48 euro sotto il quale l’indennità è esente da contribuzione.
Non sono previsti limiti mensili specifici, poiché il calcolo si basa sulla singola giornata di trasferta.
Nel caso del trasfertismo, invece, l’indennità è fissa e tassata per il 50%, senza applicazione di limiti giornalieri o mensili, proprio perché si tratta di una situazione continuativa e non occasionale.
L'indennità per il lavoratore trasfertista compensa il disagio della mobilità continua e non le singole spese (spese di viaggio e trasporto documentate).
La norma (Art. 51, c. 6 TUIR) stabilisce che questa indennità fissa è esente da imposte e contributi per il 50% del suo ammontare, indipendentemente dall'importo.
I CCNL spesso prevedono importi specifici o la definiscono come una maggiorazione percentuale sulla retribuzione base (tipicamente tra il 10% e il 30%).
In assenza di un tetto massimo legale, la prudenza suggerisce di mantenere la cifra entro limiti ragionevoli per evitare contestazioni.
Un riferimento cautelativo è il massimo esente per la trasferta occasionale mensilizzata (46,00 euro per 22 giorni lavorativi; quindi, circa 1.000,00/1.200,00 euro), assicurando che l'indennità non superi in modo sproporzionato la retribuzione base.
La Corte ha anche ribadito che la disciplina tra trasferta e trasfertismo è alternativa: o si applica sempre l’una, o si applica sempre l’altra, a seconda delle condizioni contrattuali e delle modalità operative. In uno stesso contratto di lavoro non possono essere applicate entrambe.
Nel caso affrontato, la società datrice di lavoro aveva sostenuto che le spese di vitto, alloggio e trasporto erano meri costi aziendali, ma la Cassazione ha respinto questa tesi: le spese sostenute per i lavoratori trasfertisti, anche se pagate direttamente dall’azienda, devono essere incluse nell’imponibile ai fini contributivi.
Questo perché la normativa prevede che, salvo la parziale esenzione del 50%, ogni altra spesa collegata alla prestazione lavorativa concorra alla formazione del reddito e vada quindi assoggettata a contribuzione.
Per essere considerati trasfertisti, occorre:
che non sia indicata una sede di lavoro nel contratto,
che l’attività richieda una continua mobilità e
che l’indennità riconosciuta sia fissa, senza distinzione in merito all’effettivo svolgimento della trasferta.
Se anche uno solo di questi presupposti manca, si applica la disciplina della trasferta tradizionale, con una diversa modulazione di esenzione e imponibilità.
La corretta qualificazione del rapporto e il rispetto delle regole fiscali e contributive sono elementi centrali per evitare contestazioni e sanzioni, e per assicurare una corretta gestione delle risorse umane in contesti che richiedono grande flessibilità operativa.





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